C’è chi ha iniziato a suonare per bere gratis o per far colpo sulle donne. Io ho iniziato a scrivere di musica per scroccare concerti e per parlare con persone interessanti.
Massimo Bonelli rientra nella mia personalissima categoria di “persone interessanti”, ed è sicuramente una delle figure che hanno influenzato il mio modo di comprendere e vivere la musica. Per questo motivo, quando ho ricevuto il suo via libera per l’intervista, ho esultato in stile Grosso ai Mondiali del 2006 (è vero, chiedetelo pure ai miei colleghi).
Produttore, manager musicale, organizzatore del Primo Maggio e fantasista in iCompany. Così si presenta Massimo Bonelli sulle sue pagine social.
Fantasista. Quel termine mi ha colpita subito, e da lì sono partita con la mia intervista, fatta nella caotica Sanremo pre-festival.
«Perché fantasista? Il fantasista, nel calcio, è quello che inventa il gioco» esordisce Bonelli «vede percorsi dove non ci sono. Questo è il mio ruolo, cercare di costruire cose strane e impossibili.»
Io lo incalzo sottolineando come, questa immagine molto evocativa, rimandi al famoso think outside the box, atteggiamento fondamentale per chi vuole destreggiarsi nell’attuale mercato discografico.
Inevitabilmente, dunque, iniziamo a parlare di quella che è stata (e che è tutt’ora) la rivoluzione digitale nella musica. Tra i cambiamenti più importanti vi è sicuramente il modo in cui la musica viene fruita e ascoltata: «Il digitale porta novità, genera rivoluzioni e nuove tendenze» continua Bonelli «Questo è un momento molto interessante. Lo streaming, dati alla mano, ha migliorato la carriera di tanti artisti: se nel 1995 c’erano circa 100 artisti che riuscivano a sopravvivere con i propri dischi, ora ce ne sono 1.500 in media. Prima c’erano solo i discografici, adesso ci sono i discografici e le piattaforme, e se queste ultime ti inseriscono in una playlist può cambiarti la vita.»
Il discorso non fa una piega: ma lo streaming continua a pagare davvero poco, e a farne le spese sono sicuramente gli artisti che hanno un seguito esiguo o gli emergenti.
Bonelli mi risponde subito: «Lo streaming è uno strumento, e come tutti gli strumenti è neutrale, non è né buono né cattivo. È il modo in cui viene utilizzato a fare la differenza» e continua «non paga tutti perché gli artisti sono troppi: l’offerta supera la domanda. È un tema di mercato, non di musica.»
Il mercato è quindi saturo: ma non è il solo. Viviamo in un’era in cui veniamo costantemente inondati da stimoli, in un’overload di informazioni che va dalle piattaforme di streaming ai social. Sembra davvero difficile, se non quasi impossibile, farsi notare e Massimo capisce subito dove voglio andare a parare: «in questa saturazione di informazioni e tempo, moneta che ora tutti quanti vogliamo preservare, sembra difficile trovare il verso per far emergere certi progetti, magari diversi rispetto a ciò che funziona al momento. Occorre insistere, cercare una via attraverso cui esprimere la propria unicità, e riuscire a conquistare uno spaziettino nella mente e nel cuore del pubblico.»
Essere veri a sé stessi. Potrebbe sembrare un consiglio banale, ma tale visione musicale ed estetica è stata alla base della rivoluzione indie, uno sconvolgimento di sonorità e linguaggi che ha colpito il panorama discografico del nostro paese.
In quanto direttore artistico del Concerto del Primo Maggio di Roma, Bonelli ha vissuto questa trasformazione in prima persona: «Il movimento indie, diventato poi IT-POP, è stato il cambiamento più grande che abbiamo visto. Noi, con il Primo Maggio, abbiamo deciso di metterlo davanti alla platea nazionale. E mi fa piacere pensare che, il linguaggio su cui abbiamo investito e puntato, è ora diventato il linguaggio della musica attuale»
«I Thegiornalisti nel 2016, Achille Lauro nel 2017, ma anche i Pinguini e Sfera Ebbasta» continua «per noi c’era l’intenzione di dare a quel palco un ruolo, il ruolo di raccontare la musica attuale, quello che stava succedendo nel paese reale, non quello che accadeva in quel momento all’interno delle case discografiche.»
Il mercato della musica, mi spiega poi Bonelli, è ciclico: «Ci sono dei periodi in cui la discografia va in saturazione. Anzi, il mainstream va in saturazione, e nascono nuove tendenze. Dal punk degli anni Settanta, che ha trovato la sua omologazione nel decennio successivo, alla fiammata indipendente degli anni Dieci, sorta dopo la crisi del disco.»
È una questione di linguaggio: «uno dei problemi della musica è che spesso è omologata a un linguaggio dominante, che gli artisti tendono più o meno consciamente a ripercorrere sperando così di poter costruire il proprio successo. Ma la musica che resta e che poi fa la storia è quella che cambia le carte in tavola, che rischia qualcosa» si ferma un attimo e poi continua «magari poi da quel rischio può nascere un nuovo movimento o un nuovo modo di ascoltare la musica. Le mode e i mercati cambiano, ma l’artista capace riesce a emergere e dire la sua in ogni epoca.»
Fare musica significa quindi mettersi in gioco in un ambiente tutt’altro che neutro: mercato, linguaggi ed estetica governano il nostro e l’altrui gusto. A queste variabili si aggiunge inevitabilmente la politica, soprattutto in un contesto come quello del Concerto del Primo Maggio, talvolta teatro di contestazioni, denunce e censure. Bonelli mi corregge subito: «Il Primo Maggio ha un ruolo civile, è un evento dedicato ai lavoratori e parla di ciò che c’è attorno a noi attraverso la musica. Il concerto ha il ruolo di raccontare l’Italia. Certo, ci occupiamo di un concetto che è sicuramente politico, ma lo è in senso assoluto, non in senso immanente.»
Fantasista. Mi rimbomba ancora nella mente questo termine, tornata nel mio appartamento sanremese ho subito controllato il Garzanti online: fantasista. Calciatore capace di inventare giocate imprevedibili. E sì, questo termine descrive alla perfezione il lavoro di Massimo Bonelli: vedere percorsi e opportunità, ma anche permettere alla musica di raccontarsi.
Non so cosa succederà nei prossimi anni, ormai stiamo arrivando a saturazione: l’indie non è più rivoluzione. Sono certa che mi ritroverò a parlarne con Massimo, già curiosa di scoprire come cambierà la discografia. Perché, l’unica certezza che ho, sta nella mutevolezza della musica e nella sua fluidità. E questo a me piace da morire.