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Ode a Le Feste Antonacci: una lettera d’amore

Ho scoperto Le Feste Antonacci per caso. Anzi, totalmente a caso.

Ero al MiAmi, stavo litigando al telefono con non ricordo chi. All’improvviso, come un San Paolo qualunque sulla Via di Damasco, ho ricevuto un’illuminazione. A differenza del santo martire, anziché una luce, ho visto l’immagine di due uomini nudi apparire sugli schermi del Palco Jack Daniel’s.

Uomini nudi, anime pulite

Chi mi conosce sa che la nudità maschile ha sempre un certo appeal su di me (sono pur sempre una sana e umile peccatrice) ma in realtà, ciò che ha attirato la mia attenzione, era la musica, e le parole che danzavano in essa.

«Uomini nudi, anime pulite» così cantava Giacomo, uno dei due cuori pulsanti della band. E per me è stato amore a primo ascolto.

Da allora Le Feste Antonacci sono in ogni mia playlist, in ogni mio: «amo, ascolta questo che è una bomba», vivendo praticamente rent free nel mio cervello con i loro riff e i loro testi al limite del dadaismo.

Dal MiAmi ho poi rivisto le magiche Feste altre tre volte: al Dr. Marten’s Day, ai Musici per Caso di Piacenza e, ovviamente, al Circolo Magnolia (sottolineo l’ovviamente perché, ormai, vedo più i buttafuori del Magnolia che mia madre).

So che può sembrare una strana ossessione o fissazione, e che vedersi quattro live in un anno della stessa band risulta un tantino inquietante. Quasi al limite dello stalking.

Vinile del cuore

Ma, la verità, è che per apprezzare fino in fondo la genialità di questo gruppo serve assolutamente l’esperienza live. E penso che averli scoperti proprio durante un concerto abbia contribuito fortemente alla generazione di questa folle ossessione che provo per loro.

Infatti ogni spettacolo delle Feste è un piccolo pazzo mondo, dove la distanza tra il palco e pubblico viene completamente annullata, soprattutto nei contesti più piccoli e intimi.

Un esempio è il live ai Musici di Piacenza (se non ci siete mai stati, consiglio di farci un salto: buona musica, vino fantastico servito da persone adorabili e un clima di leggerezza che ti fa sentire a casa). Complice un palco quasi rasoterra e una stanza molto contenuta, il concerto è stato un vero e proprio momento di condivisione, che è riuscito a coinvolgere anche chi non aveva mai sentito parlare del gruppo.

Viscerale amore per la musica. Questa è la chiave del talento delle Feste Antonacci. Con il mio lavoro ho avuto la fortuna di conoscere tante realtà musicali, tante band, interpreti, cantautori ecc, ma ben pochi di loro hanno un tale rispetto per la musica.

C’è chi suona per raggiungere la fama, chi ha iniziato a fare musica per bere gratis, scopare e per diventare ricco. C’è anche chi lo fa perché ha manie di protagonismo e ama stare al centro dell’attenzione. Persone che amano abbronzarsi con le luci della ribalta.

Tutte motivazioni comprensibili, ma che poco hanno a che fare con l’amore per la musica. Quell’amore potente, che pervade ogni centimetro del tuo corpo, quell’ossessione che ti spinge a star sveglio la notte per cercare l’accordo giusto.

Ecco, io quell’amore, quella luce, li ho visti in Giacomo che si perde nella sua mente suonando il basso. Li ho visti in Leonardo mentre mi raccontava del suo Minilogue. Li ho visti in tutte le persone che gridavano «sigarette, sigaaaareeeetteeee» al Dr. Martens Day.

Scatole che inglobano scatole

La musica sta cambiando nuovamente, e noi con lei: nell’età dello streaming selvaggio, dove i numeri (spesso gonfiati) fanno la reputazione dell’artista, sta nascendo l’esigenza di vivere la musica in maniera più autentica.

Nell’era digitale, noi amanti della musica sentiamo sempre più forte il desiderio di poter vivere in maniera tangibile la nostra passione: dall’acquisto del merchandise, alla trasformazione di CD e vinili in veri e propri feticci identitari.

In quest’ottica, l’evento live diventa quasi un rito simbolico, un momento di aggregazione. E saranno proprio realtà come Le Feste Antonacci a porre le basi di questa moderna rinascita della musica dal vivo, creando una spaccatura ancora più profonda con quel digitale artefatto, composto da brani fatti ad hoc per fare numeri da capogiro.

Non so che succederà, non ho le meravigliose abilità della Pizia di Delfi. Ma, in cuor mio, continuo a pensare che la dimensione esperienziale della musica vincerà sempre su tutto, in barba alle classifiche e ai dischi d’oro e di platino.

Sarà davvero una nuova era della musica? Chi lo sa. Se fosse, però, sappiate che Le Feste Antonacci potrebbero essere quel faro culturale capace di traghettarci in questo mondo migliore. E io ci spero tanto.

Io, Le Feste, la mia gang

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