Chi mi conosce lo sa: io non sono capace di essere puntuale. Ho in cantiere questo articolo da diverse settimane, ma ha visto la luce solo oggi.
Shame on me.
In realtà mi sono presa questo tempo per capire cosa scrivere: io e i concorsi viviamo su due pianeti distinti e non comunicanti. Non sono una fan dei contest, non lo sono mai stata. Le situazioni che implicano gare, finali, finalissime e premi mi hanno sempre messa a disagio, ma riconosco che queste situazioni, oltre a essere delle ottime palestre per gli artisti, possono diventare un luogo per scoprire nuove voci e nuovi talenti.
Questa volta ho deciso di superare i miei preconcetti riguardanti i contest e compagnia bella e mi sono diretta verso il Fanfulla di Lodi con la mente libera da ogni pregiudizio.
Grazie a Federico Finotello, l’organizzatore (nonché amico della 300Note Family), ho potuto scambiare quattro chiacchiere con le partecipanti e i partecipanti de La Voce.
La prima cosa che mi ha colpita è stata l’alta partecipazione femminile: circa venti concorrenti, oltre la metà donne.
E questo è un bel messaggio. In un ambiente tremendamente maschilista come quello musicale, vedere così tante donne è stata per me una bella boccata d’ossigeno, soprattutto perché ho potuto notare alcune personalità interessanti e fuori dal coro.
Da Blessye (Federica Uliano), che ha incantato la platea con un’interpretazione da brividi di Una poesia anche per te di Elisa, a Belle Soletto, la quale ha portato un brano di Angelina Mango, Mani vuote. Colgo l’occasione per citare anche Valeria Facchetti, vincitrice del concorso, che ha regalato al pubblico una versione pazzesca di I See Red.
La mia attenzione, però, è stata catturata da due persone in particolare: Sara Bronzini, la quale ha cantato un brano di Vecchioni e Alessandro Cecchini, con una sua versione di Thank You dei Led Zeppelin.
Per Sara non credo servano troppi giri di parole: con Chiamami ancora amore ha dimostrato una capacità interpretativa fuori dal comune, facendomi immedesimare nel pezzo. Con Alessandro ho avuto (e ho tutt’ora) bisogno di rielaborare mentalmente ciò che ho visto e ascoltato.
Alessandro mi sembra uno di quegli artisti che riescono a portare sul palco la follia più pura e magnetica di questo mondo. Non fraintendetemi: la mia è tutt’altro che una critica.
Valuto la follia come uno degli ingredienti fondamentali per chi vuole fare della propria vita un’opera: la sana pazzia distingue l’artista dal mero esecutore, la persona estrosa dal grigio contabile.
E Alessandro per me è stato l’artista più puro: è salito sul palco e, prima di iniziare il brano dei Led Zeppelin, ha improvvisato una canzone di denuncia contro il genocidio in atto in Palestina. Così, di botto, sbattendoci in faccia tutta la sua autenticità.
Perché è qui che sta la chiave: l’autenticità. Puoi avere la voce più bella di questo mondo, prendere le stesse note di Mariah Carey, ma se non hai personalità tutta questa tecnica e tutti i tuoi gorgheggi non serviranno a nulla.
Le persone vogliono emozioni, non virtuosismi fini a se stessi: focalizzarsi su una voce perfetta non ha senso e, soprattutto, mette un filtro all’espressione, alla comunicazione.
Il mio augurio a tutte le artiste e a tutti gli artisti de La Voce è quello di sciogliersi nel cercare la propria strada, sentirsi libere e liberi di sbagliare, di mettere per un momento la propria voce in secondo piano, godendosi le emozioni dietro anche a una stonatura.
E non sentirsi mai arrivati, perché questo è l’unico vero modo per maturare a livello artistico (e per non stare sul cazzo a noi addetti ai lavori, cosa molto importante, just saying).
Ringrazio ancora Federico per l’ospitalità e, dopo questo articolo, spero che non dia fuoco al mio biglietto d’ingresso per il prossimo anno.